La presenza dell’uomo durante la Preistoria nel territorio affacciato sulla Laguna di Marano è documentata da centinaia di manufatti in selce, di cui il Museo espone alcuni esempi. Essi sono stati per lo più ritrovati durante le cosiddette ricerche di superficie, ovvero le ricognizioni effettuate dagli archeologi sui terreni arati per individuare e “leggere” i segni del popolamento antico portati in evidenza dai lavori agricoli.
Si tratta di testimonianze preziose, anche se sicuramente rappresentano solo una piccola parte di un patrimonio ben più ricco ed esteso, che risulta ormai perduto nell’area lagunare, dove, con il mutare della linea di costa attraverso il tempo, l’acqua ha sommerso originarie zone di pianura cancellando le tracce delle comunità preistoriche.
La selce, materiale quasi indistruttibile, si conserva fino a noi a “raccontare” le attività quotidiane degli uomini che nel Neolitico, circa 7500 anni fa, vivevano in villaggi ben organizzati al cui interno vi erano vere e proprie “officine” di lavorazione.
Cacciare, scarnificare e fare a pezzi le carcasse animali, mietere e praticare altre attività agricole, lavorare il legno, la pelle, l’osso e il corno: per tutte queste operazioni erano indispensabili strumenti realizzati in selce. Essa presentava molti vantaggi poiché, oltre a essere duratura e resistente, era facile da scheggiare e poteva dar luogo a superfici molto affilate.
Tramite un percussore in pietra o corno la pietra naturale veniva progressivamente ridotta di dimensioni fino a ricavarne schegge o lame; queste venivano poi ritoccate e rifinite per rendere i margini più taglienti. Nel caso di manufatti più complessi, come ad esempio le punte di freccia, la forma finale si otteneva mediante numerosi ritocchi.
La maggior parte degli strumenti neolitici rinvenuti nell’area perilagunare è fabbricata in selce proveniente dal Veneto.
La principale area di rifornimento era quella dei Monti Lessini, nel Veronese, dove la materia prima era di ottima qualità. Nelle gallerie delle cave, scavate con picconi fatti di corna di cervo o di pietra, si estraevano dai filoni di selce dei noduli e i pezzi venivano raccolti in ceste. Oggetto di una sorta di commercio, che doveva avvenire per mezzo di scambi, la selce arrivava nei villaggi della bassa pianura friulana sotto forma di blocchi semilavorati (nuclei), che poi in loco venivano sgrossati e trasformati in prodotti finiti.
Questi potevano essere poi inseriti in manici di legno che garantivano un più facile uso degli utensili.